di Ciro Salvucci e Piero Di Domenicantonio
Qualcuno pensa che la vita in strada sia difficile, complicata e triste. Non è sempre così. In strada non ci si annoia mai, si possono creare legami, relazioni e si può trovare anche una famiglia.
Da che mondo è mondo, la famiglia si riunisce sempre al momento del pasto. Per questo, a Roma, c’è un posto dove la tavola è sempre imbandita e c’è posto per tutti. È il centro dell’associazione Vo.Re.Co. (Volontari Regina Coeli), in via della Lungara, nel cuore di Trastevere. Nato nel 2012 come punto di raccolta di abiti e cibo per i detenuti del carcere che sta proprio lì di fronte, ben presto è diventato la casa di una grande famiglia, aperta tutti i giorni a tutti coloro che hanno bisogno. Chi arriva trova sempre un aiuto, un consiglio, un sostegno, perché Vo.Re.Co. non è solo una mensa, è molto di più. Il merito è dei tanti volontari — come Angela, una vera e propria colonna — che hanno condiviso il sogno di padre Vittorio Trani, il cappellano di Regina Coeli, mettendo a disposizione di chi si trova in difficoltà, dentro e fuori dal carcere, tempo, competenze e, soprattutto, umanità. Chi chiede trova: cibo, abiti, ma anche assistenza medica (oltre all’ambulatorio è attivo, ogni 15 giorni, un servizio di analisi cliniche), consulenza legale e burocratica. Qui, la speranza c’è. La senti. Ti contagia.
È mattina presto quando arriviamo davanti alla sede dell’associazione. C’è già una bella fila di persone. Un uomo con la barba lunga e lo zaino sulle spalle è appena uscito dalla chiesetta di San Giacomo a Porta Settimiana che sta lì accanto. La messa è finita da poco e, mentre aspettiamo di incontrare padre Vittorio, il fondatore e l’animatore della Vo.Re.Co., ci scambiamo le nostre prime impressioni. C’è la sorpresa di chi, tante volte, è passato da queste parti chiedendosi perché ci fosse gente in fila per entrare in quello che, all’apparenza, gli era sembrato un negozietto di abiti usati e cianfrusaglie per amanti del vintage. E c’è la commozione di chi, invece, ha trovato un porto sicuro: «Padre Vittorio mi ha sempre incoraggiato ad andare avanti e non tornare più indietro. È riuscito a farmi vedere il bicchiere mezzo pieno anche quando pensavo che fosse completamente vuoto».
Francescano conventuale, padre Vittorio ci accoglie con un sorriso, come fa con tutti, e ci invita a sederci nell’ufficetto del centro che, una volta a settimana, diventa anche caf, farmacia di strada e tutto quello che serve. Siamo arrivati per parlare di una povertà nascosta: quella delle famiglie dei detenuti in gravi difficoltà economiche. Il cappellano di Regina Coeli non si perde in chiacchiere, ma ci racconta subito una storia. «È quella — dice — di un cittadino americano con doppia nazionalità: viveva in Australia dove si era sposato. Era stato arrestato a Fiumicino, mentre aspettava l’aereo per tornare dalla moglie. Aveva con sé della marijuana. Portato a Regina Coeli, è stato processato per direttissima e condannato a tre anni e qualche mese. Informato dell’arresto e della condanna, il consolato australiano ha subito inviato dei funzionari che, dopo aver incontrato l’uomo, hanno immediatamente attivato i servizi sociali del loro Paese perché si accertassero delle possibilità economiche della moglie rimasta da sola. Constatato che la donna aveva un reddito di 700 dollari australiani, insufficiente per condurre una vita dignitosa, hanno riconosciuto alla signora un sussidio di altri 700 dollari australiani perché non fosse anche lei a pagare per il reato commesso dal marito. L’aiuto le è stato concesso fino a quando non è arrivata la notizia che il marito era uscito di prigione e poteva tornare in Australia».
«Questo — spiega padre Vittorio — per dire: io, Stato, ti arresto, perché hai commesso un reato, ma mi preoccupo di chi resta fuori, della tua famiglia. Ho raccontato questa storia a ministri, politici, a chiunque sia capitato qui...». E come hanno reagito? «Purtroppo, da noi le cose sono ben diverse. Il familiare di un detenuto che si trova in difficoltà economiche può inoltrare una richiesta. Se ci sono i fondi gli viene corrisposto qualcosa, una tantum. Poi si crea il vuoto. Per le famiglie dei carcerati le istituzioni sono latitanti, non ci sono».
Cappellano di Regina Coeli dal 1978, padre Vittorio ci spiega così come il carcere non è solo quello che sta dietro le sbarre di una prigione. C’è un carcere anche per le famiglie dei detenuti, come pure per chi è povero e, una volta scontata la pena, si ritrova senza casa, lavoro e una rete di relazioni. L’associazione Vo.Re.Co. si prende cura di tutti. In particolare, alle famiglie offre beni di prima necessità e assistenza nei complicati iter burocratici per avere notizie dei congiunti in carcere o anche un semplice colloquio. L’associazione ha anche aperto un piccolo centro di accoglienza per persone senza dimora. In tutto, 18 posti letto, alcuni dei quali riservati ai carcerati in permesso premio o a persone appena rimesse in libertà. Possono alloggiare fino a quando non trovano una sistemazione autonoma e un lavoro per mantenersi.
Mentre ascoltiamo padre Vittorio, è difficile non ripensare alle esperienze che ciascuno di noi, in modo diverso, ha fatto del carcere. Anche la fitta dovuta a una vertebra lesionata torna a farsi sentire e, ancora di più, il dolore per le umiliazioni subite. Padre Vittorio non si scompone di fronte alle lacrime. Ne ha viste tante e anche le nostre le accoglie con un sorriso buono e lo sguardo di chi sa vedere oltre, oltre le apparenze e il pregiudizio. «La lezione più importante che ho imparato in carcere — ci dice — è questa: essere cauti nei giudizi. Noi vediamo le cose dall’esterno, ma non sappiamo leggere dentro. Quante volte in carcere ho potuto toccare con mano la differenza tra ciò che si diceva di una persona e quella che era veramente. I giornali alimentano la morbosità della gente avventandosi sulle persone come piranha sulla preda. Mai fidarsi delle chiacchiere. Quello che una persona ha veramente dentro tu non lo puoi sapere».
Questa lezione — «la lezione delle lezioni, perché incarna lo spirito cristiano», dice padre Vittorio —, l’hanno imparata bene i tanti volontari che animano le diverse attività del centro e ogni seconda domenica del mese affollano la chiesetta di San Giacomo per partecipare alla messa. «Li chiamo i miei boys — dice il sacerdote — anche se hanno i capelli bianchi come i miei».
Così il centro si è aperto per soccorrere ogni forma di povertà. Una in particolare ci colpisce: è quella dei genitori che da tante parti d’Italia e del mondo portano i figli al vicino ospedale Bambino Gesù per farli curare, ma non hanno risorse economiche per potersi pagare un alloggio a Roma. «Di solito — spiega padre Vittorio — le mamme possono restare in ospedale accanto ai figli. La stessa cosa non è prevista per i papà. Grazie all’aiuto della parrocchia di Santa Dorotea, che ha messo a disposizione delle stanze, dal 2017 diamo un alloggio gratuito anche a loro. Stanno lì per tutto il tempo che il bambino è ricoverato. Fino ad oggi ne abbiamo ospitati 760. Ricordo ancora un papà libico che è stato con noi più di un anno. La figlia ha dovuto subire diverse operazioni e, purtroppo, non ce l’ha fatta a sopravvivere. Ma quei giovani genitori le sono potuti rimanere vicino, insieme, fino all’ultimo».
Prima di salutarci e tornare ai suoi impegni in carcere, padre Vittorio ci invita a prendere un caffè al bancone del centro dove si distribuiscono le colazioni. Il sapore è forte, come piace a noi, ma si avverte pure un aroma speciale che non trovi nell’espresso del bar. Sa di amore e di benedizione, quell’amore e quella benedizione che — racconta uno di noi — «ho sentito tante volte quando mi mettevo in fila per prendere il sacchetto della cena. Non mi vergogno a dirlo, anzi, ne vado orgoglioso». (ciro e piero)
La sigla VO.RE.CO sta per “Volontari Regina Coeli” e vi fanno parte i volontari che prestano la loro opera a favore dei detenuti di Regina Coeli, delle loro famiglie e delle vittime del reato.