C’è attesa nel carcere di Regina Coeli a Roma, per l’arrivo di Papa Francesco che Giovedì Santo, celebrerà la Messa in Coena Domini con la lavanda dei piedi ad alcuni detenuti del penitenziario. Ai nostri microfoni la gioia del cappellano del carcere don Vittorio Trani
Stefano Leszczynski - Città del Vaticano
Giovedì Santo 29 marzo alle ore 16.00 il Papa si recherà in visita alla Casa di Reclusione di “Regina Coeli” di Roma, per la celebrazione della Santa Messa “in Coena Domini”. Francesco incontrerà in infermeria i detenuti ammalati, quindi celebrerà l’eucaristica con il rito della lavanda dei piedi a 12 detenuti, nella “Rotonda” del carcere ed infine incontrerà alcuni detenuti della VIII Sezione.
Dopo Casal del Marmo, Rebibbia e Paliano è la quarta volta in cinque anni di Pontificato, che il Papa sceglie un carcere all’inizio del Triduo pasquale e sempre questa celebrazione ha avuto un carattere strettamente privato.
Al microfono di Radio Vaticana Italia il cappellano del carcere
Padre Vittorio Trani spiega quanto è importante per i detenuti l’incontro con Papa Francesco
R. - È sempre una cosa straordinaria. In particolare poi, questo Papa ha presso i detenuti un feeling speciale perché viene considerato da tutti una figura straordinaria. Quindi lo aspettavano - lo aspettavamo - veramente con tantissimo affetto. Quindi adesso l’annuncio ha caricato l’ambiente di gioia, di soddisfazione per quello che esso rappresenta.
La rotonda del carcere di Regina Coeli ha visto diversi pontefici arrivare. Sarà sempre quello il luogo della celebrazione?
R. - Sì, il luogo della celebrazione sarà sempre quello. Il centro consente da tutte le sezioni che sono su quella rotonda - visto che è un carcere costruito con uno schema panottico - di poter vedere il Papa. Quindi un numero abbastanza grande di detenuti potrà partecipare all’Eucarestia vedendo direttamente il Papa.
Cosa vuol dire il fatto di tornare in carcere per questa specifica celebrazione? Non è la prima volta. Ha iniziato addirittura con il carcere di Casal del Marmo, dove ci sono i minori e adesso Regina Coeli, forse il carcere più antico di Roma. Si può dire?
R. - Il Regina Coeli è il carcere sorto nel 1800 ed è il carcere della capitale del Regno d’Italia. Il Giovedì Santo ha un significato profondo, perché è proprio Cristo si inchina su una porzione d’umanità molto particolare come quella dei detenuti, considerati, nella valutazione generale, un po’ al margine. Il Papa va proprio da loro ad inchinarsi come Cristo. Èuna cosa bellissima. È un gesto di un’intensità che non ha parole per essere descritto.
Quanto aiuta questo gesto, ma soprattutto questo atteggiamento nei confronti dei detenuti? Quanto aiuta l’opinione pubblica a cambiare opinione su quello che è il mondo del carcere?
R. - Non è facile cambiare opinione. Ci vuole un percorso sia culturale che spirituale; si tratta di cambiare completamente ottica. Chi parte del Vangelo, ha quasi una facilità, non che per tutti sia possibile, ma ha una spinta in più. Chi vive semplicemente la lettura del carcere a livello di fenomeno sociale, fatica molto a vedere il carcere come una realtà che deve essere superata. Certo, il Papa comunque attira l’attenzione e il suo gesto fa riflettere. Mi auguro che lo Spirito Santo poi aiuti a fare un percorso interiore che permetta di guardare queste persone come fratelli, condannando l’errore, ma stando vicino alle persone.
Padre Vittorio, ci sono stati momenti storici precisi e frasi pronunciate dai papi a Regina Coeli che sono rimaste nelle storia: ricordiamo Giovanni XXIII che aveva raccontato l’aneddoto del suo parente che aveva avuto problemi con la giustizia, il detenuto che era scoppiato in lacrime; Giovanni Paolo II, visitando il carcere, aveva evocato la libertà; Papa Francesco parla di speranza. Queste parole sono veramente delle chiavi che indicano una strada alle persone che sono in carcere?
R. - Ricordo Giovanni Paolo II che ha affidato ai detenuti una frase che mi è rimasta impressa, ma credo a loro ancora di più: “Cari figli, cari fratelli il tempo del carcere è tempo di Dio come in altre parti. Quindi non vivete “subendo” questa realtà, ma alzate la testa e guardate oltre e questo tempo può essere tempo di conversione, di preghiera, di recupero della propria dignità”. Ricordo Giovanni Paolo II fece questa affermazione che mi è rimasta impressa; è rimasta impressa a tantissimi. Adesso questo Papa, quando ha ricevuto noi cappellani ci ha lasciato questa frase che abbiamo ripetuto tantissime occasioni: “Ricordatavi che chiudendo la porta della vostra cella sappiate che là dentro, oltre a voi c’è Cristo. Sta con voi”. Bellissima. Credo che un po’ questo sentire del Papa, questo sguardo del Papa verso il detenuto che ha questa vicinanza con Cristo, rappresenti qualcosa che viene percepita anche dai detenuti. Quindi incontrare il Papa è un’occasione per dirgli “grazie” di questa forza che riesce a comunicare, perché non solo frasi, ma è un atteggiamento di grande rispetto per chi si trova a vivere questa esperienza.