Con un nuovo sguardo
Articolo del 30 marzo 2018. Pubblicato in Varie
«Nuovo sguardo» e «speranza». Le parole chiave della visita a Regina Coeli sono state scritte da Papa Francesco sul libro degli ospiti prima di lasciare il penitenziario romano. Resteranno così a raccontare la trama del lungo pomeriggio che il Pontefice ha trascorso in una delle periferie esistenziali che più gli stanno a cuore, dove ogni giorno storie di dolore e di riscatto si misurano con il peso del rancore e del rimorso.
Di quelle storie il Papa si è messo in ascolto. E a quelle vite ferite in cerca di redenzione ha indicato un orizzonte, ripetendo che «una pena non aperta alla speranza non è cristiana, non è umana». Un appello risuonato con forza nella rotonda centrale di Regina Coeli, dove convergono le diverse sezioni del complesso penale e dove il Pontefice ha compiuto il rito della lavanda dei piedi con dodici detenuti.
Nel solco di una tradizione cominciata a Buenos Aires e proseguita anche dopo l’elezione al pontificato, Francesco ha celebrato la messa in Cena domini del Giovedì santo in uno dei luoghi simbolo del disagio e della marginalità. Ancora una volta ha scelto il carcere, come aveva già fatto nel 2013 con l’istituto per minori di Casal del Marmo, nel 2015 con Rebibbia e nel 2017 con il penitenziario di Paliano.
Quest’anno ha voluto lavare i piedi ai reclusi della casa circondariale di via della Lungara, nel rione Trastevere, dove attualmente sono ospitati poco meno di mille detenuti, dei quali il sessantacinque per cento non italiani, provenienti da circa sessanta paesi diversi. È stato così il quarto Pontefice della storia a recarsi a Regina Coeli dopo Giovanni xxiii nel 1958, Paolo vi nel 1964 e Giovanni Paolo ii nel 2000.
Accompagnato dall’arcivescovo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, il Papa è giunto in auto intorno alle 16.15. Ad accoglierlo il reggente della Prefettura della Casa Pontificia, monsignor Sapienza, la direttrice della casa circondariale, Silvana Sergi, il comandante Rosario Moccaldo, e il cappellano, il francescano conventuale Vittorio Trani, una vera e propria istituzione a Regina Coeli, dove da ben quarant’anni svolge il suo ministero pastorale.
Nel corridoio dell’infermeria al primo piano il Pontefice ha incontrato una sessantina tra detenuti ricoverati e personale medico. A ciascuno ha riservato un gesto di attenzione, una stretta di mano, un abbraccio. In molti gli hanno raccontato la loro esperienza e hanno chiesto una benedizione. Francesco ha lasciato la sua firma su alcune foto e ha ricevuto in dono piccoli pensieri: un disegno, un libro, un’immaginetta.
Al termine dell’incontro Francesco ha indossato i paramenti sacri e ha fatto ingresso nella rotonda, dove hanno preso posto circa duecento persone tra detenuti, agenti, personale di custodia e volontari del Vo.re.co., l’associazione che dal 1978 opera all’interno della struttura, per offrire sostegno morale e materiale ai reclusi, e all’esterno, attraverso una serie di attività rivolte ai detenuti indigenti, agli ex detenuti e, in generale, ai più bisognosi: dall’assistenza sanitaria al servizio di colazione e cena, dall’ospitalità alla consulenza psicologica e legale. Altri quattrocento carcerati hanno potuto assistere alla celebrazione attraverso i monitor installati nei corridoi delle sezioni.
Con il Papa — che durante la messa ha utilizzato il pastorale di legno donatogli dai detenuti di Ciudad Juárez nel viaggio in Messico del 2016 — hanno concelebrato l’arcivescovo Becciu, padre Trani, il suo confratello Renzo Degni, secondo cappellano, e uno dei sacerdoti volontari che collaborano nell’attività pastorale, il gesuita spagnolo Joaquin Barredo, superiore della curia generalizia della Compagnia di Gesù.
Per il rito liturgico è stato utilizzato l’altare bronzeo del buon pastore, opera dello scultore Fiorenzo Bacci, originario di Porcia (Pordenone), che lo ha offerto al Pontefice nel corso dell’udienza giubilare del 12 novembre 2016. Realizzato dall’artista in occasione dei suoi cinquant’anni di matrimonio, l’altare raffigura Gesù che si china con la mano protesa verso la pecorella smarrita. Francesco ha voluto lasciarlo in dono alla casa circondariale a ricordo della sua visita.
Sono stati gli stessi detenuti ad animare la celebrazione. Cinque di loro — due italiani, due rumeni e un nigeriano — hanno fatto da “chierichetti”, mentre alle letture liturgiche e alle preghiere dei fedeli si sono alternati reclusi, agenti e volontari. I canti sono stati eseguiti dal coro della parrocchia di San Marco Evangelista in Agro Laurentino. A proclamare il Vangelo il diacono Andrea Ciamprone, anch’egli volontario del Vo.re.co.
Momento centrale del rito, diretto dal maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie, monsignor Marini, è stato la lavanda dei piedi. Un gesto che il Papa ha compiuto in ginocchio indossando un semplice grembiule bianco. Dinanzi a lui dodici reclusi di diversa provenienza geografica e fede religiosa: otto cattolici (gli italiani Stefano, Massimo e Simone, i filippini Magsumbol Alexander e Mario, il nigeriano Gbenga, il colombiano John Alexander e Chermo Say, della Sierra Leone), due musulmani (i marocchini Rizki e Alì), l’ortodosso moldavo Eugenu e il buddista italiano Marco. Ai detenuti il Pontefice ha lavato e baciato il piede destro, scambiando con loro un abbraccio.
Al termine della messa Francesco ha lasciato la rotonda e, deposti i paramenti, vi è ritornato poco dopo per ricevere il saluto della direttrice e di un detenuto.
La prima ha parlato della presenza del Papa come di una luce che ha addolcito rabbia e rancori, aiutando a capire che anche quando si sconta la pena «ci si avvicina alla grazia: la grazia che ci aiuta a sperare, a credere in un progetto di vita migliore». E il lavoro di chi è ogni giorno affianco ai detenuti, ha sottolineato la direttrice, è proprio quello di «infondere speranza» e di mostrare che è possibile «un percorso di vita diverso».
Le ha fatto eco Alessandro, un detenuto italo-egiziano, che si è rivolto al Papa dandogli del «tu» come si fa con un padre. E come un padre, ha detto, «tu ci ricordi che la vita è qualcosa di prezioso, che Dio ci ha donato e che dobbiamo spender bene». A Francesco il giovane ha rivolto il «grazie» a nome dell’intera comunità del penitenziario non solo per la visita ma anche per la sua costante attenzione «a chi vive l’esperienza carceraria». E ricordando la catechesi dello scorso mercoledì all’udienza generale, ha rilanciato l’invito «a lavare gli occhi dell’anima per vedere le cose belle e fare delle cose belle» recuperando «uno sguardo nuovo». Parole subito riprese dal Papa e divenute il cuore del messaggio lasciato ai detenuti.
Al Pontefice sono stati consegnati alcuni doni: un volume sulla storia del carcere, un libro di poesie composte da detenuti, una mattonella dipinta da un’artista rumena, un orologio di legno fatto dai reclusi e una colomba pasquale offerta dai volontari.
Francesco ha raggiunto poi una sala della biblioteca per incontrare i detenuti dell’ottava sezione, nella quale sono ospitati coloro che, per la natura dei reati commessi, hanno necessità di un regime di carcerazione particolare. Il Papa ha salutato un centinaio tra reclusi e personale, in un clima segnato dalla commozione: più di uno, con gli occhi lucidi, gli ha confidato all’orecchio le proprie sofferenze. E il Pontefice non ha voluto congedarsi senza una parola di incoraggiamento, invitandoli a non lasciarsi «rubare la speranza» e a non cedere alla disperazione durante i momenti bui della vita. «Nell’arte di salire il successo non è nel non cadere, ma nel non rimanere caduti» ha detto ripetendo le parole di un canto alpino. E ha concluso: «Vi auguro pace, gioia nel cuore e speranza».
Infine il Papa ha compiuto una breve sosta nella cappellina inaugurata durante l’anno santo, dove è esposta alla venerazione una statua della Madonna di Fátima. Lì Francesco, prima di riprendere l’auto intorno alle 18.20 per far rientro in Vaticano, ha firmato il libro dei visitatori, scrivendo di suo pugno: «Agli ospiti, alle autorità, ai volontari, grazie tante! Non dimenticatevi: nuovo sguardo e speranza! Che il Signore vi benedica e, per favore, non dimenticatevi di pregare per me». (francesco m. valiante)