Fa freddo, lungo il Tevere. L’umidità ti mangia le ossa. Ti scava dentro, come un verme affamato.
Fa freddo in carcere, a quest’ora. Tra sbarre e mattoni attraverso cui il vento danza una melodia burrascosa, e che non sanno arginare il gelo.
In carcere, il cielo è rettangolare. Puoi vederlo soltanto attraverso le sbarre delle poche finestrelle appuntate sopra le celle. E dopo un po’ ti abitui, a vedere l’orizzonte geometrico. Ma quando esci… Quando esci, quando varchi il cancello di ferro e torni nel mondo delle persone libere, allora il cielo ti avvolge. Come un mantello blu cobalto, straordinario questa sera. Un cielo immenso, infinito, austero e malinconico, che è speranza di un nuovo giorno. Un cielo magnifico, forte come una calamita, che non puoi smettere di guardare. E allora capisci perché quando chiedi a un detenuto che cosa manca di più del mondo di fuori, la risposta è sempre quella: il cielo.
A.P.