DON VITTORIO TRANI: “PAPA FRANCESCO CI FA SENTIRE IL PROFUMO GENUINO DEL VANGELO”

Gianluca La Penna   

Una vita tra i detenuti: non è uno slogan ma il carattere dell’esistenza di don Vittorio Trani, 71 anni, da 35 cappellano di Regina Coeli, dal 1992 riferimento religioso per la S.S.Lazio Calcio. In questo colloquio il prelato di Monte San Biagio si apre, svelandoci la “ruvida” bellezza della sua missione e la gioia per l’elezione di papa Francesco: “Sono felice perché desideravo un uomo che potesse far sentire il profumo genuino del Vangelo”.

Don Vittorio, da quanto tempo “risiedi” a Regina Coeli?

“Sono arrivato a Roma, a Rebibbia, il 7 luglio 1972, rimasi lì per circa tre anni, poi nel 1974 mi spostai in una parrocchia sulla Casilina, San Bonaventura da Bagnoregio. A via della Lungara arrivai nel 1978, quando venne a mancare padre Luigi Cefaloni, il cappellano dell’epoca: da quel momento la mia casa è sempre la stessa, nella struttura del penitenziario”.

Come vivi la realtà del carcere dopo tanti anni?

“Il carcere è cambiato, se penso al mio arrivo. Gli agenti appartenevano all’Arma, ora alle forze di polizia civili. Fortunatamente c’è più spazio alla formazione, abbiamo i cineforum e le celle sono aperte quasi tutto il giorno, c’è un polmone che pulsa in modo diverso. Appena insediato creai l’associazione “Volontari delle carceri di Roma”, nella quale aveva riunito tuitti gli operatori di Regina Ceoli e Rebibbia; negli anni Novanta la casa sulla Tiburtina è diventata autonoma ed il gruppo di via della Lungara ha preso il nome di VoReCo, Volontari Regina Coeli. Sono 80 volontari che, come in una parrocchia, si dividono i ruoli nel sostegno morale, ed economico, ai detenuti. La situazione è migliorata, in ogni stanza c’è un bagno, una cucina, la tv ed il riscaldamento. Regina Coeli, che ha oltre 130 anni, nasce come struttura punitiva, ora abbiamo una biblioteca e nei sotterranei è stata ricavata un’area adibita al tempo libero”.

A Regina Coeli c’è una spazio per la preghiera?

“Una vera e propria cappella non era nelle intenzioni di chi la realizzò. Quando venne costruita infatti, tra il 1881 e il 1884, governava la Massoneria, le cui intelligenze sostenevano che la Chiesa Cattolica sarebbe scomparsa dal territorio italiano a fine secolo, quindi non venne realizzato alcun luogo di culto; abbiamo ricavato nell’ospedale una cappella. La messa viene celebrata nella rotonda centrale, dove vennero installati un crocifisso e una Madonna di Lourdes; è molto bello perché tutto si ferma, vi partecipa ogni settore non sottoposto a regime particolare, per quest’ultimi vengono celebrate messe ad hoc”.

Che importanza hanno i momenti ricreativi, di incontro e di formazione dentro una casa circondariale?

“Lo sport, il calcio è un argomento comune per il primo contatto. Io, da laziale, se vedo qualcuno abbacchiato gli dico ‘mica sarai pure della Roma’: tutto si scioglie e la persona si apre. Agli operatori consiglio di prepararsi sul calcio perché serve a stimolare il soggetto con cui interloquiamo. Passando al calcio giocato, negli anni scorsi con più personale e una differente suddivisione, organizzavamo anche tornei di calcetto, e le sezioni partecipanti creavano delle piccole società. Adesso il personale è ridotto all’osso, poche risorse anche per acquisatre i palloni, immaginate che il cemento li rovina a tal punto che ne servirebbero oltre cento l’anno”.

Come sei entrato a far parte del mondo Lazio?

“Era il febbraio 1992, organizzammo una premiazione con cinque giocatori, accompagnati dal tecnico Dino Zoff e dal mitico Maurizio Manzini. Il giorno dopo mi chiamarono da Formello, era da poco scomparso padre Lisandrini, mi chiesero di diventare il loro referente religioso, io accettai spiegando però che preminente era il mio compito a Regina Coeli. Da allora mi occupo di battesimi, cresime, prime comunioni, il sabato celebro la funzione. All’epoca ci vedevamo all’Hotel degli Aranci ai Parioli, quando si perdeva per quieto vivere ci si spostava alla Borghesiana”.

C’è un aneddoto particolare sul rapporto con la fede dei calciatori che hai conosciuto?

“Dico sempre che esiste una dimensione personale spesso ignota anche ai compagni. C’è stato un giocatore che ogni giorno recitava il rosario, quando andava in trasferta dall’aeroporto prendeva il taxi per scappare alla messa delle 9 di piazza San Silvestro; poi si è trasferito all’estero, quando tornava come prima cosa si confessava”.

Che legame hai instaurato con i pontefici, soprattutto con chi è venuto in visita ai reclusi?

“Il 9 luglio 2000 Giovanni Paolo II venne in occasione dell’anno giubilare, con la Lazio campione d’Italia. Come faceva prima di ogni visita, anche nelle parrocchie, il Santo Padre incontrava personalmente, a pranzo, i responsabili della struttura che avrebbe visto. Con me l’incontro avvenne il venerdì precedente, nel suo appartamento in Vaticano. Fu molto attento, chiese che tipo di detenuti ci fossero, il numero degli stranieri e quanto restevano in galera; nonostante fosse già provato dalla malattia si mostrò interessato; lui fu il primo pontefice che venne a Regina Coeli con me cappellano. Il primo in assoluto fu Giovanni XXIII, stette meno di un’ora ma la stampa diede molto risalto alla vicenda, diversamente da quanto accadde con Paolo VI che restò un’intera mattinata facendo un discorso straordinario: per dargli il giusto contributo misi una targa del 2000 in occasione dell’arrivo del papa polacco. L’incontro con Karol Wojtyla fu illuminante per l’atmosfera che si creò durante i preprativi: la sera prima finimmo di lavorare all’una di notte, nella massima concordia, insieme detenuti, funzionari del ministero e la direzione. In un’intervista del 10 luglio dissi che il primo messaggio derivante da questa visita era stato l’essere riusciti a condividere la vigilia dell’evento insieme, gomito a gomito”.

Che rapporto hai con papa Francesco?

“L’ho conosciuto nel 2010 a Buenos Aires, dove era la massima autorità religiosa, durante il capitolo generale del mio ordine, i Francescani Conventuali. Lui venne in bus con la sua borsa, tornò come era venuto. Oltre ai titoli giuridici, come figura morale allora era già temuto, non avendo scheletri nell’armadio era inattaccabile. Quello che mi meravigliò nella sua elezione fu la diffusa attesa di una figura che in qualche modo si rifacesse allo stile di San Francesco, qualcuno addirittura anticipò la scelta del nome. Devo rivelarti un segreto: dall’elezione di Paolo VI io seguo il conclave in Piazza San Pietro sempre dallo stesso “mattone”, sulla fontana di sinistra. Con papa Francesco trovai le transenne, ho scavalcato per ritrovare il “mio” posto”. Sono felice perché desideravo un papa che potesse far sentire il profumo genuino del Vangelo. Bisognava rompere certi schemi di grandezza per far capire che il Vangelo guarda alla persona. Da cappellano del carcere ho sempre sognato che una mattina il papa, in incognito, venga a bussare alla nostra porta per celebrare la messa”.

Credi che Jorge Mario Bergoglio possa farlo?

“Penso che ci siamo vicini, probabilmente lo farà. Lo stile è quello, quando ha visitato le case circondariali con sé ha voluto solo il ministro della Giustizia, nessuna passerella. Incontrandolo nell’ottobre del 2013 gli dissi: “Santità, siamo distanti solo un chilometro…”. Anche un gesuita che lavora con me, conoscendolo bene, insiste su questo punto. Vederlo qui senza avviso sarebbe il massimo per me”.

Come viene visto dai detenuti?

“Sono affascinati da Francesco. I ragazzi che incontro, magari a tavola, sentono questa figura straordinaria che è riuscita a scendere questi gradini per essere vicino alla gente. Ricordo lo stupore quando videro che il papa dall’Argentina si era fatto risistemare le sue scarpe da un calzolaio, un ragazzo nostro ospite, che di solito dormiva sotto i ponti, ci rivelò la sua emozione solo nel parlarne. Liberarsi da tante sovrastrutture per essere un uomo di Dio che sta in mezzo agli altri, questo credo sia il messaggio più forte che si possa mandare”.

http://www.sslazio.org/don-vittorio-trani-papa-francesco-ci-fa-sentire-il-profumo-genuino-del-vangelo-2/